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15/12/2018, 09/02/2019, 01/03/2019, 26/10/2019, 30/11/2019

Istituto della Enciclopedia Italiana e Società Psicoanalitica Italiana

Prendersi cura

Progetto di Anna Nicolò e Lorena Preta

Leggiamo dal vocabolario Treccani come primo significato di cura:

cura s. f. [lat. cūra]. – 1. a. Interessamento solerte e premuroso per un oggetto, che impegna sia il nostro animo sia la nostra attività.

Partiamo da questa definizione che implica una distinzione netta tra un soggetto, erogatore della cura e un oggetto al quale la cura viene applicata per cercare di specificare i due termini presi in considerazione.

In un momento storico come quello attuale appare difficile persino individuare un soggetto che sia sufficientemente integro e non frammentato, dislocato, disorientato come quello che vediamo apparire sulla scena soprattutto del mondo Occidentale.

A questa provvisorietà e sofferta aleatorietà del soggetto si contrappone un oggetto che sembra anch’esso oltre che incerto e imprevedibile, continuamente fluttaunte e cangiante immerso in un mondo virtuale che lo rende inafferrabile.

I nuovi sistemi di comunicazione, le nuove tecnologie, hanno cambiato radicalmente il nostro vissuto del corpo che fa fatica ad adattarsi alle nuove possibilità offerte soprattutto dalle biotecnologie, oppure le include e le mette in atto senza problematizzarle e darsi il tempo di elaborare i cambiamenti che comportano.

Provocano spiazzamento non solo le novità dovuta all’ibridazione uomo-macchina o uomo- animale, ma anche le modalità differenti di vivere e intendere la sessualità. Ci troviamo di fronte a figure nuove come i transgender, i gender queer, che ci rimandano un’idea completamente diversa di identità sessuale, basata su un modello di indistinzione e ambiguità e che diviene semmai qualcosa sulla quale intervenire al di là delle attribuzioni genetiche che la caratterizzano.

Vediamo organizzarsi nuove strutture famigliari che si sforzano di delineare nuovi ruoli che però sembrano non reggere del tutto all’impatto dei fantasmi psichici che comunque li sottendono e permangono ad interrogare l’individuo su temi basilari, primo fra tutti quello delle origini.

Come affrontare inoltre disagi sempre più diffusi come le chiusure in internet, gli hikikkimori, cioè le persone in volontaria reclusione, o come definire la politica gestita direttamente tramite internet, la messa in crisi della competenza a favore del “mi piace” del Tweet.

Sono fenomeni che parlano di una vera e propria mutazione antropologica oppure di una rottura con il passato per ora non del tutto descrivibile nei termini di una nuova identità?

Inoltre la traumaticità degli eventi di guerre e capovolgimenti sociali, ma anche delle violenze private che scoppiano sempre più frequentemente e apperentemente gratuitamente, è vissuta in diretta e ormai in contemporanea su scala planetaria, portando ad un ottundimento della capacità reattiva, a un difetto di empatia caratterizzato dall’indifferenza piuttosto che dalla condivisione. Allo stesso tempo assistiamo ad un atteggiamento passionale assolutamente opposto, espulsivo e violento basato sulla paura e sul pregiudizio.

La folla di migranti che cerca di attraversare il Mediterraneo fuggendo da situazioni insostenibili o per povertà o per violenza, è da considerarsi un soggetto sociale, oppure anche genericamente “umano”, oppure ancora un insieme individuabile di donne e uomini, ragazzi e ragazze, bambini e bambine con delle esigenze specifiche, dei bisogni precisi che mai il termine migrante che definisce un’ identità in transito, potrà illustrare sufficientemente?

Che significa prendersi cura di loro? come costruire insieme delle opportunità di sopravvivenza comuni? come affrontare l’angoscia scatenata dall’incontro con lo straniero?

Come d’altronde cosa significa prendersi cura di un malato, o di un ambiente che si deteriora, o di un bene culturale che necessita di essere preservato?

E’ necessario ridefinire il concetto di cura e conseguentemente quello di guarigione.

Più in generale possiamo affermare che la sofferenza causata dai mutamenti della società sopradescritti induce a interrogarsi su quale propriamente sia da intendere la malattia dell’uomo moderno. Si tratta di un nuovo modo di vivere il corpo, il tempo, le relazioni? e perchè questo genera sofferenza? Gli antidepressivi sono i farmaci più usati nel mondo, dobbiamo dedurne che la depressione sia il sintomo più diffuso ed evidente della difficoltà a trovare una dimensione personale e comunitaria significativa?

In questo scenario complesso e drammatico possiamo ancora usare la parola cura? siamo in grado di prenderci cura dell’altro e prima ancora di individuarlo come soggetto bisognoso, che richiede la presa in carico delle sue necessità?

Se prendersi cura significa analizzare e farsi carico responsabilemnte di eventi di crisi all’interno di un individuo o di un gruppo sociale, dobbiamo essere in grado di misurare il nostro intervento non solo nei termini usuali della guarigione o del risultato, quanto soprattutto in quelli della “crescita”, dell’evoluzione della situazione e delle trasformazioni che genera.

La psicoanalisi può fornire oltre che un’analisi appropriata, una risposta adeguata a questi nuovi fenomeni? può dialogare con le nuove forme di vita senza negarne la diversità e cercare di ridurle alle patologie che già conosciamo, ma non trascurando la loro effettiva gravità e cercando una soluzione che non sia estemporanea o superficiale ma possa mettere in moto la creatività che eventualmente contengono?

Per fare questo c’è bisogno di un apparato psicoanalitico sensibile ai nuovi interrogativi, che misuri la sua identità sulla novità delle problematiche che ha di fronte. Non chiuso nella stanza d’analisi e che consideri come suo setting il nuovo territorio che si sta delineando.

Vorremmo approfondire queste ed altre problematiche in un dialogo con altre discipline, tramite una serie di incontri che ogni volta propongano un tema specifico cercando di costruire un appuntamento che si snodi nel tempo.

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